martedì 5 giugno 2012

Educare il cuore: non c’è altra strada


“Ai genitori fanno quasi paura, i figli; i genitori fanno tutto quello che gli chiedono loro”
Parole di Sara, 13 anni, studentessa di una scuola media di Modena. Le riporta Maurizio Tucci, giornalista, nel suo commento all’ultima indagine della Società italiana di Pediatria sulle “Abitudini e stili di vita degli adolescenti”.
Un’indagine fatta su un campione di 1300 ragazzi e ragazze tra i 12 e i 14 anni.

Ho sempre pensato che le parole di Sara potrebbero essere quelle di tanti suoi coetanei. Soprattutto quando guardo i miei, di coetanei. Genitori spesso timorosi di dire di no ai propri figli, per non perdere la loro amicizia e la loro fiducia. Genitori che, davanti al compito di educare i figli, sembra che abbiano alzato bandiera bianca. Con la conseguenza che tanti ragazzi si ritrovano senza quei punti di riferimento necessari per imparare a diventare grandi.
Educare i figli, oggi, è un compito arduo, non lo metto in dubbio. Qualche giorno fa parlavo con un amico di quanto sia difficile, per esempio, aiutare un adolescente a riconoscere la propria tonalità emotiva, a dare un nome alle emozioni che prova, a vivere una sessualità inserita in una più ampia cornice affettiva e relazionale che le dia senso pieno.
Un compito che diventa ancora più arduo se chi dovrebbe averlo per “missione” decide di tirare i remi in barca.
L’indagine che ho citato all’inizio è tanto chiara quanto impietosa: a proposito di sessualità, per esempio, i ragazzi non parlano quasi mai con i genitori, non li ritengono capaci di comprenderli e si rivolgono sempre più spesso ai forum su internet o ai coetanei per risolvere i propri dubbi. I genitori rimangono estranei alla sfera sessuale e affettiva dei figli e spesso, rassegnati davanti ai “tempi che cambiano”, non riescono ad andare oltre alla raccomandazione di portare con sé la pillola o il preservativo, perché “non si sa mai…”

Sembrerà un’affermazione banale, ma se oggi si parla tanto di emergenza educativa è perché, da molto, troppo tempo, la grande assente è proprio l’educazione.
E la soluzione, anche questo sembrerà banale, sta nel tornare a educare. A cominciare proprio dall’affettività, che forse è la dimensione che più di altre ha bisogno di essere ridefinita nel giusto quadro antropologico. L’uomo contemporaneo soffre di uno squilibrio esistenziale perché ha continuato ad alimentare la testa ma ha smesso di educare il cuore, lasciandolo in balìa di se stesso.
Il cuore è la sede degli affetti. E’ stato detto che dal cuore nascono i buoni propositi ma anche le peggiori intenzioni che un uomo possa formulare. Dal cuore dipende la qualità delle nostre relazioni. Da esso passa la nostra felicità. E oggi più che mai il cuore è la porta attraverso la quale possiamo arrivare alla testa dei giovani. Per questo se vogliamo affrontare la sfida educativa dobbiamo iniziare dalla formazione del cuore.
Non c'è altra strada, se vogliamo dare ai ragazzi gli strumenti con i quali possano rispondere alle domande di senso che si fanno proprio durante l’adolescenza. Chi sono io? Che ci faccio su questa terra? Che senso ha la mia esistenza? Perché vivo? Per chi vivo? Che cosa è la felicità e che cosa devo fare per essere veramente felice?
Dobbiamo tornare a educare il cuore perché oggi le risposte a queste domande mancano o, quando ci sono, sono spesso fonte di insoddisfazione e di malessere per i ragazzi stessi. Un malessere che si esprime soprattutto nella fragilità affettiva, nella banalizzazione della sessualità che viene vissuta come un gioco, nel preoccupante aumento dei comportamenti a rischio.
Riporto solo alcuni dati. Il 17% del campione intervistato dalla Società italiana di Pediatria ritiene che i 14 anni siano l’età giusta per avere rapporti sessuali completi. Tra gli adolescenti cresce a macchia d’olio il fenomeno del sexting, l’inserimento in rete di proprie immagini a sfondo sessuale. Qualche settimana fa ha fatto il giro del web la notizia di una bambina di 10 anni che si è fotografata nuda ed ha postato le proprie immagini su Facebook. Sempre più ragazzi sono affetti dall’ansia da prestazione sessuale: si sentono inadeguati a riprodurre con il proprio partner quello che vedono raffigurato dalle immagini che trovano con estrema facilità su internet.
Sono convinto che alla base di tanto malessere ci sia un cuore che non funziona bene. Molti dei problemi relazionali tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici o tra fidanzati, non nascono proprio dall’incapacità di gestire i moti dell’affettività? O non derivano forse dal dare troppo spazio alle emozioni a scapito della ragione, o dalla difficoltà di orientare correttamente le proprie passioni?
Il nostro agire si esprime sempre attraverso emozioni, sentimenti, passioni, sensazioni, motivazioni, manifestazioni tutte dell’affettività; quest’ultima è una sorta di anello di congiunzione fra la dimensione fisica dell’uomo e quella spirituale-razionale. Come possiamo trascurare allora questa “terza dimensione” così importante e fondamentale per la nostra felicità?
E soprattutto come possiamo farlo quando ci troviamo ad educare una generazione di ragazzi sempre più storditi dalla ricerca ossessiva di emozioni forti?

Sia chiaro: emozioni e sentimenti vanno sviluppati e valorizzati, non repressi. L’obiettivo dell’educazione è sempre quello di formare persone libere ed equilibrate. Persone capaci di usare la testa ma anche il cuore. Il compito educativo è un lavoro eminentemente positivo. Bisogna lavorare quindi in tal senso. Come?
Innanzitutto valorizzando proprio le istanze positive che l’odierna società affettiva ci presenta. Parliamo ai ragazzi della bellezza dei sentimenti e delle emozioni quando questi sono guidati dalla ragione. E facciamolo presentando loro esempi e modelli di persone che incarnano questo stile di vita: la storia, il cinema, l’attualità ci verranno in aiuto, senza dimenticare comunque che i modelli che i ragazzi guardano per primi siamo proprio noi.
Aiutiamo i ragazzi a conoscersi, ad ascoltarsi, a guardarsi dentro, educandoli sin da bambini alla lettura, alla contemplazione della bellezza, al silenzio, al rispetto per l’opinione degli altri. Fermiamoci a rispondere alle domande che ci fanno anche quando pensiamo che non abbiamo il tempo per farlo.
Aiutiamoli ad accettarsi per come sono fatti, amandoli incondizionatamente e non per i risultati che ottengono a scuola o in palestra o al circolo del tennis. Evitiamo di fare paragoni con i fratelli o con i loro compagni di classe. Ascoltiamoli, osserviamoli, comprendiamoli, invece di fare domande. A volte basterà semplicemente trasmettere l’idea che li capiamo, dicendo “Che forte! Ci sarai rimasto male. Sarai stato contento”.
Rispettiamone la crescita e non diamo loro l’impressione che li vogliamo più grandi o più piccoli di quello che sono.
Aiutiamoli a conquistarsi gli obiettivi e non diamo loro tutto subito. Che apprezzino lo sforzo per raggiungere una meta. Che sperimentino la noia, perché una vita in cui ogni desiderio è immediatamente soddisfatto finisce per spegnere in loro la capacità di sognare.
Incoraggiamoli a sviluppare le passioni, che sono intense come le emozioni e durature come i sentimenti. Coltivare passioni sane è la ricetta migliore per curare l’apatia che oggi affligge molti di essi. Non a caso c’è chi ha definito il nostro tempo l’epoca delle passioni tristi.
E per finire, ripartiamo da un’idea centrale: la famiglia è il primo luogo in cui affrontare con i figli il tema dell’affettività prima e della sessualità poi. Non si può delegare questo compito alla scuola o alla parrocchia o all’associazione culturale.
Ai genitori viene richiesta una preparazione ed un impegno maggiori, non c’è dubbio. Dovranno appassionarsi se vorranno essere all’altezza del loro compito. Passione benedetta, perché così facendo avranno già ottenuto una vittoria: quella dell’esempio, che agli occhi dei figli vale sempre più di mille discorsi.

Articolo pubblicato sul numero di Marzo 2012 di Fogli

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