venerdì 27 maggio 2011

Cogitoetvolo intervista Beppe Severgnini a Palermo

Sono le 15,30 di martedì 24 maggio. Si parla di giornalismo. O meglio, di giornalisti alle prese con l’informazione nell’era del web. Il titolo del convegno dice tutto: I (già) vecchi media. Carta stampata, TV, web. Siamo a Palermo, presso l’Albergo delle Povere, a pochi passi dalla centralissima piazza Indipendenza.

Tra gli invitati ci sono diversi volti noti del giornalismo: Giuseppe Di Piazza, direttore di Sette; Corradino Mineo, direttore di Rai News 24; Marco Bardazzi, caporedattore centrale de La Stampa. Nomi prestigiosi, ma la mia attesa era soprattutto per lui, Beppe Severgnini, scrittore e giornalista del Corriere della Sera.

Il convegno è lungo, dura quasi quattro ore ininterrotte. All’inizio viene proiettato un filmato che mostra come la classe dei giornalisti abbia una pessima reputazione agli occhi degli italiani: mediocri, superficiali, asserviti al potere… L’audio del filmato è pessimo e, per fortuna, dura poco. Al termine della proiezione iniziano a parlare i giornalisti invitati. Quando prende la parola Severgnini, la prima cosa che fa è chiederci se in sala riusciamo a sentire. Dettaglio di classe…

Il convegno procede, senza pause ma in maniera gradevole; si segue con piacere, soprattutto quando a parlare è il giornalista del Corriere, ironico, colto e chiaro, come sempre.
Si parla di tante cose: del fatto che in Italia si legge poco, della crisi della carta stampata - sarà anche colpa del web? - , dell’età media sempre più giurassica dei giornalisti italiani e della assenza di nuove leve, anche perché le assunzioni nel settore sono bloccate da anni…
Torna a parlare Severgnini, che loda la bravura dei giovani giornalisti; è un peccato che i giornali non riescano ad offrire loro neanche uno stage.

La tavola rotonda si avvia alla conclusione, affidata, come era prevedibile proprio a Severgnini.
La missione del giornalista ? Unire i puntini: la gente - dice - non ha tempo per cercare le informazioni da sola, non riesce a districarsi tra le mille notizie della rete: qui entra il giornalista, che deve unire i puntini, appunto, come si fa con i giochi delle riviste enigmistiche per fare comparire una figura ben precisa. In questo modo il giornalista fa un vero servizio alla società.

Poi parla del mirmicoleone, facendoci ridere, forse per ingannare la stanchezza e la fame, data l'ora.
Il mirmicoleone – dice – è una figura leggendaria, per metà leone e per metà formica; esso nasce da un padre leone e una madre formica, ma non potendosi nutrire né come il padre, carnivoro, né come la madre, erbivora, rimane indeciso e muore pochi giorni dopo la nascita. Nel mondo del giornale ci sono tanti mirmicoleoni, giornalisti indecisi che non sanno cosa fare. E invece l'importante é fare le cose bene, non come il mirmicoleone che non sa che cosa fare e muore.
Applauso e conclusione della conferenza.

E qui arriva il bello. Incoraggiato dalla presenza, accanto a me, di Guido Vassallo, decido di andare subito all’arrembaggio e di intervistarlo. Ci avviciniamo assieme.

Salve, dott. Severgnini, complimenti per le belle cose che ha detto. Ci saluta sorridente. Incalziamo: siamo di Cogitoetvolo, vorremmo lasciarle alcuni segnalibri per suo figlio e vorremmo farle alcune domande. Ci dedica qualche minuto?
Severgnini accetta i segnalibri e, spiazzato dalla nostra intraprendenza, ci dice di sì, un po’ a denti stretti – è molto stanco e, come è logico, tutte le attenzioni sono per lui – ma a patto che le domande siano solo due.
Lo ringraziamo e gli ricordiamo che lui, tre anni fa, citò Cogitoetvolo sul suo blog Italians, dicendo, con riferimento ai giovani di Cogitoetvolo, che "gli piacevano gli studenti svegli (quelli colti dicono proattivi)".

Iniziamo a intervistarlo. Guido pone le domande, io registro.

Spesso si ha l’impressione che nel giornalismo faccia notizia la cattiva notizia, oppure il fatto di cronaca un po’ morboso e si punta molto su queste cose. E’ un ripiego perché non c’è altro da dire oppure è questa la prima finalità del giornalismo?
Allora, mettiamola così. Se in un condominio ci sono venti famiglie e in diciannove va tutto bene, i genitori lavorano, i figli studiano, vanno in vacanza d’estate, ecc. Nella ventesima famiglia hanno l’abitudine, quando litigano, di buttare la lavatrice dal balcone e ogni tanto si picchiano sulle scale. Secondo voi nel condominio di chi si parla?
Traduzione: c’è una sorta di inevitabilità che è l’eccezione e spesso è un’eccezione negativa e attira l’attenzione. Questo è fisiologico; quello che è patologico è costruire su questo una sorta di ossessione sociale e quindi trasformare un delitto in un serial televisivo, con i plastici nei talk-show; questo è secondo me sbagliato. Ma che un caso particolare, anche di cronaca nera attiri l’attenzione della gente è normale.
Se uno guarda l’Iliade, c’è di mezzo un rapimento, che è un fatto di cronaca nera! Quindi non bisogna neanche esagerare, anche se è vero però che oggi stiamo eccedendo e che per molti media tutto diventa morboso. Il crimine come eccesso ed esempio della debolezza della natura umana va bene, come nelle tragedie greche: Sofocle o Euripide di che cosa parlano? Ma il crimine come ossessione morbosa è un’altra cosa.

C’è la consapevolezza nel giornalista che quello che lui scrive, sia la notizia che la sua opinione, ha un’influenza nel sentire comune. L’impressione è che a volte nel giornalismo c’è un po’ di pessimismo, si instilla un po’ di pessimismo nella società piuttosto che spingere all’ottimismo.
La tua è un’opinione più che una domanda. Io sono abbastanza d’accordo. E’ vero che alcuni giornalisti hanno questa capacità di condizionare l’opinione pubblica, però non sono moltissimi. Semmai questo avviene nella scelta delle notizie, questo sì.

Questo genera molto pessimismo nei giovani. La cosa che cerchiamo di fare con Cogitoetvolo, che ci siamo posti come obiettivo, è quella di presentare notizie positive, che fanno meno rumore, probabilmente, rispetto a quelle di cronaca nera. Però a volte abbiamo l’impressione che questo non basti, perchè i ragazzi spesso sono disillusi. Guardi il telegiornale e solo dopo un quarto d’ora, forse, se va bene, c’è una notizia positiva. Vedi, l’idea che le notizie positive siano di per sé interessanti è un po’ ingenua. La notizia positiva richiede un’abilità tecnica di esposizione, di confezionamento, di seduzione, superiore. La notizia cattiva aiuta il giornalista pigro, perché di per sé attira. La buona notizia richiede un lavoro maggiore da parte dei giornalisti, una bravura maggiore. Occorre commuovere, appassionare, ispirare, divertire, non è facile! Qualcuno pensa che in qualche modo il buon cuore sia di per sé il passaporto per l’attenzione altrui; non è vero, è quasi l’opposto, il buon cuore è spesso un ostacolo, deve essere filtrato attraverso il mestiere, l’esperienza, l’intelligenza, l’ironia, altrimenti è un guaio. Il romanziere pessimo per definizione è la brava persona che ha il cuore pieno di buoni sentimenti: quasi sempre scrive un romanzo pessimo. Il filtraggio tra i sentimenti che riempiono il cuore e la pagina scritta è quella che si chiama capacità di scrivere. Lo scrittore si vede lì. Quindi io invito a respingere l’idea che poiché sono buono in qualche modo mi merito l’attenzione. Se fosse così il mondo sarebbe migliore, probabilmente; però non funziona così e uno deve accettarlo.

Grazie. Un pronostico per domenica sera? Chi vince la finale di Coppa Italia? Sa, siamo a Palermo…
Vince l’Inter 3 a 1.

Ridiamo.
Guido – interista, ma dal cuore rosanero – forse ride di più. Anch’io rido, ma in cuor mio mi auguro che il pronostico di Severgnini sia l’unica cosa infelice pronunciata in questo bel pomeriggio palermitano.


Articolo pubblicato su www.cogitoetvolo.it


venerdì 20 maggio 2011

Quale sarà il tuo verso?

Lettere ad un teenager/5

“I ragazzi, oggi, non si fanno tante domande sul senso della vita, sulla loro identità, sul loro futuro. Vanno avanti a forza di emozioni.

Quelle domande se le pongono solo se incontrano lungo la loro strada la sofferenza. Allora, forse...”

Così mi diceva un amico con il quale parlavo di come riaccendere il cuore, spesso stanco e svogliato, di tanti ragazzi.

Faccio fatica a credere che un ragazzo, una ragazza, non si facciano mai queste domande a meno che non vadano a sbattere violentemente contro il muro della sofferenza. Non ci credo. Semmai le domande, come la voglia di rendere grande la propria vita, sono come atrofizzate dal vento freddo che viene dal mondo… quasi sempre dal mondo degli adulti.

Come credere in me stesso? Come fare per essere contento di quello che sono e non cercare di apparire per quello che vorrei? Qual è la mia identità? Chi sono? Chi voglio diventare? Per chi vivo?

Sono solo alcune delle domande che, prima o poi, tutti ci facciamo. Che, prima o poi, tu ti fai. Forse sarebbe più comodo ignorarle, sarebbe più comodo far finta di niente. Ma non è nella natura umana, recitava qualche anno fa il protagonista di una famosa serie TV, nel corso della prima puntata.

No, sono domande che non si possono ignorare. Esigono una risposta, dalla quale dipende la tua felicità.

Da dove partire? Riconosco che non è facile; prova a partire dalla conclusione. Dalla certezza – perché è così – che tu sei unico al mondo. Dalla convinzione che, come te, non c’è e non ci sarà mai nessun altro che potrà scrivere la storia che tu solo sei venuto a raccontare. Una storia che, senza di te, lascerà per sempre un vuoto – non importa se piccolo o grande – che non potrà mai essere colmato.

Come te non c’è nessuno mai. Per arrivare a questa conclusione, devi imparare a conoscerti; non basta farlo, devi volerlo fare. Puntare dritto al fondo del tuo cuore, allontanarti dalla superficie, dove è più facile stare; non costa sforzo rimanere in superficie ma così non scoprirai mai chi sei veramente. Dopo aver scoperto chi sei, potrai fare il secondo passo: volerti bene per quello che sei. E allora, solo allora, diventerai capace di volere bene a un’altra persona.

Ma di questo parleremo un’altra volta.

Continua a seguirmi nelle prossime lettere: cercherò di accompagnarti in quella che, usando le parole di un famosissimo film, per te potrebbe essere la scoperta più bella della tua vita: che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso.

Quale sarà il tuo verso?


Articolo pubblicato sulla versione online della rivista Familiaria