giovedì 29 settembre 2011

Interruzione volontaria di gravidanza: quando la coscienza dorme

Non mi era mai successo di assistere ad un congresso della SIGO, la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. Né penso che mi ricapiterà facilmente. Non sono un medico e quindi non è il mio campo. Sono un formatore e in questa veste sono stato invitato da un ginecologo che, conoscendo le attività pro-life di Cogitoetvolo mi ha informato dell’incontro e mi ha chiesto di essere presente per rendermi conto di quale aria si respira oggi nel mondo dei ginecologi. Che, per inciso, sono medici; cioè dovrebbero curare, guarire, salvaguardare la vita umana…
E’ il 27 settembre e sono quasi le nove del mattino. Arrivo in ritardo rispetto all’inizio dell’incontro. Si sa che nella città dove vivo il problema più grande è il traffico. Quando piove, poi, le strade diventano una specie di calamita che attrae prepotentemente, fin quasi a bloccarle, le auto. Non sarei arrivato neanche per metà mattina se non avessi deciso di lasciare l’auto e fare l’ultimo tratto a piedi, sotto la pioggia
Arrivo con un po’ di ritardo, quindi, ed entro nell’aula dove si sta svolgendo il seminario.
Il titolo del convegno è una sigla: IGV. Già, perché chiamarlo aborto sarebbe pesante e ti farebbe pensare a quello che stai facendo. Ma se invece di aborto si parla di interruzione volontaria di gravidanza, forse suona meglio. Se poi si usa una sigla anonima, IVG, è ancora più facile dimenticare che stai uccidendo un’altra persona.
Sta parlando la dott.ssa Mirella Parachini. Non la conosco; chi mi accompagna mi dice che si tratta del presidente dellaFederazione Internazionale degli operatori di Aborto e Contraccezione, nonché membro di Direzione dell’Associazione Luca Coscioni (la battaglia per l’eutanasia vi dice qualcosa?). Insomma, un bel biglietto da visita per un medico.
Ascolto le parole dei vari relatori che si susseguono. In Italia sette ginecologi su dieci sono obiettori, si lamenta uno di loro. In questo modo, sostiene, come fa un ospedale a garantire le procedure previste dalla legge 194? Ascolto, piuttosto contrariato e penso: come può un medico chiamare “procedure” delle tecniche che hanno come fine quello di eliminare una vita umana?
Continuo ad ascoltare e rimango sconcertato dal modo in cui chi dovrebbe fare della sua professione una missione di vita parli invece di morte, senza mai citarla esplicitamente: feto, aborto medico, aspirazione, ecografia per vedere se c’è ancora qualcosa da togliere, espulsione del materiale abortivo, feticidio. La nausea è totale quando sento uno dei relatori dire che, purtroppo, in Italia, è poco diffusa la tecnica dell’iniezione intracardiaca di cloruro di potassio. Sarebbe indubbiamente la tecnica più vantaggiosa, dice, perché provocando l’arresto cardiaco, eliminerebbe per il medico l’obbligo di dover rianimare il feto qualora, per un aborto riuscito male, nascesse ancora vivo.
Sto per vomitare…
Al termine dell’incontro assisto ad un acceso confronto tra uno dei relatori ed un medico antiabortista. A un certo punto il primo, quasi per volersi giustificare, sbotta: “Guarda che noi i bambini li facciamo nascere!”
Ascolto in silenzio. Noi i bambini li facciamo nascere, continua a ripetere. Come a sottolineare che proteggere la vita, per un medico, è la normalità.
Almeno fino a quando la coscienza non si addormenta.

Articolo pubblicato su Cogitoetvolo

venerdì 16 settembre 2011

Caro Vasco, questa volta c’è chi dice no

Eh già… Io sono ancora qua… Parola di Vasco Rossi!
Così cantavi qualche mese fa, come a voler gridare al mondo che, nonostante tutto, nonostante i tuoi imminenti sessant’anni, non avevi nessuna intenzione di metterti da parte.
In realtà, devo confessarti che a me qualche dubbio era venuto. Diciamocelo francamente, il testo è proprio scarso: niente a che vedere con Alba chiara, Un senso, Liberi liberi, Il mondo che vorrei…

Insomma, una delusione. Ma soprattutto ho pensato con un po’ di preoccupazione – sai, sono un tuo fan da sempre – che per te si stava avvicinando la fine della tua lunga e fantastica carriera. Era come se gridassi al mondo la tua paura di uscire di scena, da una scena che ti vede protagonista incontrastato del rock italiano da più di trent’anni!
Era come se dicessi ai tuoi fan: guardate che io ci sono ancora, sono ancora vivo, pensando però tra te e te, con un po’ di preoccupazione, nonostante i miei acciacchi, la mia età, i miei problemi…

Poi è arrivata la prima doccia fredda: “Alla fine di questo tour, dopo trent’anni di carriera, dichiaro felicemente conclusa la mia straordinaria attività di rockstar”.
Delusione!
Ma non finiva qui, perché poi i TG hanno cominciato a raccontarci del tuo misterioso male che, per settimane, ti ha tenuto – e ti tiene ancora - in clinica.
Delusione e paura!
E infine, sono iniziati i tuoi deliri su Facebook.

A questo punto, però, dopo la delusione e la paura, ho cominciato a pensare alle parole di una delle tue canzoni che mi piace di più, quella che fa così: c’è chi dice no, c’è chi dice no, io non ci sono…

Eh già, Caro Vasco, questa volta io dico “no” e non ci sono proprio!
Cioè, non è che non sappiamo come la pensi su droghe, alcool, regole, libertà.. Ma sai, sentircelo dire in una canzone è diverso. Forse è più leggero, perché al testo si sovrappone la musica, l’adrenalina, la rabbia che ci trasmetti e magari non ci soffermiamo troppo sulle parole.
Ma senza la musica, senza l’adrenalina, senza la rabbia, allora sì che leggendo quello che dici viene voglia di svegliarsi e dire: io non ci sono. Io, davanti ai tuoi deliri dico “no”: non ci sono!

Parli tranquillamente degli antidepressivi come fossero caramelle, facendoci credere che tutto sommato si vive bene anche così…
Ci dici che non è mai morto nessuno a causa di uso o abuso di marija…
Oppure che se avessi un cancro non ti faresti curare e te ne andresti ai Caraibi…
Ripeti – anche tu, nel gregge – che bisogna tassare i beni della Chiesa…
Attacchi i tuoi colleghi, qualcuno in particolare, credendoti dio in terra…

Che delusione, Vasco!
Più deluso dal vederti dietro uno schermo a scrivere frasette che dal non vederti più in giro a riempire gli stadi. Tristezza.

Basta col delirio da rockstar in pensione.
Coraggio, dai! Ripensaci! Torna a cantare. Torna a farci sognare.
Almeno quello lo sai fare benissimo.

Articolo pubblicato sul blog della rivista Familiaria

martedì 6 settembre 2011

GMG 2011: giovani controcorrente

E' ancora fresco il ricordo di quello che è successo a Madrid qualche settimana fa. Centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo che si sono ritrovati in una città per celebrare la Giornata mondiale della gioventù. Non un concerto rock. Non un rave party. Non la finale di un campionato di calcio. No. Quasi due milioni di giovani erano a Madrid per una giornata, o meglio, per trascorrere diverse giornate all'insegna della preghiera.

In Italia se ne è parlato poco. Non è abituale che sui giornali si scriva di giovani che pregano. Non se ne parla perche farlo sarebbe politicamente scorretto. Non è di moda. Non è trendy. E quindi neanche per la Gmg 2011 la stampa italiana è riuscita a descrivere in tutta la sua meraviglia quello che è successo veramente a Madrid.
Non sará trendy ma quello che abbiamo visto in Spagna è stato straordinario. Qualcuno ha parlato di miracolo, di orgoglio cattolico, di suggestione giovanile di massa. Di questo i giornali hanno parlato. E anche di polemiche e proteste contro la visita del Papa.

Ma noi abbiamo vissuto un'altra cosa. Mi piace scrivere noi, anche se io non c'ero. Non c’ero fisicamente, ma ero lì col cuore. Mi piace scrivere noi anche se la mia età anagrafica non mi classifica più come giovane. Un amico, diciottenne, mi diceva che io avrei potuto partecipare alla Giornata mondiale dei meno-giovani… Scherzava, perché sa che io mi sento più giovane di tanti ragazzi che dentro sono molto vecchi.
Sta di fatto che non c’ero. Ma posso permettermi di scrivere lo stesso che noi abbiamo vissuto un'altra cosa rispetto a quella descritta dai giornali. Non un miracolo ma la gioia di quasi due milioni di giovani desiderosi di innalzare il cuore a Dio. Non orgoglio cattolico ma convinzione di essere una grande famiglia spirituale. Non suggestione emotiva ma preghiera bella e buona. Preghiera vera, autentica, sincera: il silenzio della veglia al momento dell'adorazione eucaristica ha fatto più rumore di qualunque altra cosa.

Da alcuni giorni i ragazzi sono rientrati alla loro vita abituale. Adesso inizia la parte più bella e difficile della Giornata mondiale della Gioventù. 
Bella, perché i ragazzi sono tornati con il cuore pieno di gioia e con il grande desiderio di cambiare il mondo.
Difficile, perché per cambiare il mondo bisogna prima cambiare se stessi.
Ma una cosa è certa ed i volti gioiosi visti ad agosto a Madrid non lasciano dubbi: molti giovani potranno guardare al futuro con la speranza di chi sa che sta camminando al fianco di Colui che ha vinto il mondo. E non è poco.

Articolo pubblicato sul blog della rivista Familiaria