martedì 20 marzo 2012

Vite parallele


Sapete quante cose succedono su internet mentre leggete questo articolo? Dipende da quanto tempo ci mettete per leggerlo, la risposta sembra banale. D’accordo, ma sareste in grado di quantificare esattamente quello che succede mentre scorrete le righe fino alla fine dell’articolo?
Supponiamo che riusciate a leggerlo interamente in un minuto. Ebbene, in questo lasso di tempo, in tutto il mondo saranno state inviate 168 milioni di mail, inseriti 600 nuovi video su Youtube, i server di Google avranno risposto a quasi 700 mila interrogazioni e tali saranno anche gli aggiornamenti di stato su Facebook, con 510 mila commenti postati sulle bacheche del social network più famoso del pianeta. E ancora, saranno nati 60 nuovi blog e saranno stati scritti 1500 nuovi post.

Insomma, se proprio ce ne fosse il bisogno, questi numeri – riportati qualche mese fa su alcuni quotidiani e blog - dimostrano che la rete è viva e vegeta e che rappresenta un luogo frequentato da milioni di persone.
Lo spazio virtuale costituito dal web – e con esso il tempo impiegato per viverlo – è pieno e ricco di vitalità. I numeri parlano chiaro e non possiamo ignorarli: esiste una sorta di vita parallela che prende sempre più forma col passare del tempo. Una vita che si sovrappone e si affianca a quella reale di ognuno di noi, una vita fatta di relazioni, contatti, rapporti con altre persone che non vediamo, né sentiamo, né – a volte – conosciamo.

Di vite parallele ha parlato, anzi ha scritto, duemila anni fa Plutarco, che non è il cane di Topolino, come disse Homer Simpson in una puntata del cartoon più seguito e amato dagli italiani.
Lo scrittore e filosofo greco mise a confronto molte biografie di personaggi famosi, riunite a coppie, per mostrare vizi e virtù comuni ad entrambi i personaggi descritti.
Vite parallele, vizi e virtù, luci ed ombre. Non possiamo ignorare questa dicotomia, se vogliamo cogliere il meglio di ciascuna delle due vite in questione.

Allo stesso modo, le vite parallele vissute da milioni di persone, ogni giorno, sul web, non sono fatte di sole ombre. Dovremmo ricordarcelo più spesso, noi educatori, quando parliamo del rapporto tra i ragazzi ed il web. A parte il fatto che sarebbe interessante capire quanti di coloro che fanno tutte quelle cose in un minuto della propria giornata siano adulti e non ragazzi; ma non ci è dato saperlo. Immaginiamoci allora che siano soprattutto giovani. Giovani che, come mi capita spesso di sentire dalla bocca dei loro educatori (genitori ma soprattutto docenti), stanno continuamente a perdere tempo su internet.
Dovremmo ricordarci più spesso, dicevo, che quello dei media digitali è un mondo che va conosciuto, valorizzato, compreso. Solo così potremo conoscere, valorizzare e comprendere meglio il mondo degli adolescenti. E quindi dare loro quel supporto educativo che essi, giustamente, reclamano.

Due esempi su tutti.
Un paio di anni fa mi trovavo con un quindicenne, il quale mi disse che quel giorno avrebbe dovuto fare attenzione al numero di sms da inviare agli amici, perché aveva quasi finito i 4000 messaggi disponibili per quel mese. Lo ascoltai e annuii soprapensiero; alcune ore dopo mi ritrovai a riflettere sulle sue parole e feci un rapido calcolo: se ha quasi finito i messaggi disponibili in un mese, vuol dire che ogni giorno, in media, ne ha inviati 130; ipotizzando che non abbia mai usato tutti i caratteri disponibili per scrivere un sms, ma soltanto la metà, il conto è presto fatto: ha scritto ben 10.400 caratteri al giorno, cioè più di 310.000 caratteri in un mese.
Detto in altri termini, un ragazzo che usa tutti gli sms di cui dispone ogni mese, è come se scrivesse, per dialogare con altre persone, un documento pari a 50 volte l’articolo che state leggendo. E questo soltanto con gli sms! Ora, vogliamo smetterla di pensare e dire che i ragazzi oggi non sanno più comunicare?
Comunicano, eccome! Il punto è che lo fanno in maniera diversa da come siamo stati abituati a farlo noi. E’ una comunicazione più povera, se vogliamo, ma è pur sempre una comunicazione che ci allontanerà da loro nella misura in cui ci limitiamo solo a criticarla.

Un altro esempio.
L’estate scorsa sono stato invitato a moderare un laboratorio nell’ambito di una giornata di formazione per educatori di una diocesi siciliana. Il tema della giornata di lavoro era Giovani e sfida educativa. Il titolo del laboratorio che avrei dovuto moderare era Giovani e social network.
Mi aspettavo di coordinare il lavoro di diverse persone alle prese con un mondo – quello dei social network – sconosciuto per molti educatori. Prima dell’avvio dei laboratori, il coordinatore dei lavori aveva sottolineato ai partecipanti come quella dei social network fosse probabilmente la frontiera più difficile ma allo stesso tempo più avvincente per un educatore che cerca di capire il mondo dei giovani.
Eppure all’avvio del laboratorio credevo di aver sbagliato stanza, dato che eravamo soltanto in tre. Poco dopo sono arrivati altri due partecipanti, dirottati dagli altri gruppi, decisamente più numerosi.
Non per voler sminuire i temi degli altri tre laboratori (oratori, liturgia, progetto culturale) ma mi sono chiesto – e continuo a chiedermelo adesso – come sia possibile riavvicinare le nuove generazioni alla bellezza del rapporto con Dio se non ci si rende conto che il problema è soprattutto di comunicazione? E come si può pensare di comunicare con loro se i linguaggi parlati dai ragazzi diventano sempre più distanti e diversi da quelli degli adulti? Quanto meno bisognerebbe fare lo sforzo di comprendere come funziona il loro codice…
Il laboratorio si è però concluso in bellezza: almeno ho avuto il piacere di veder arrivare, nel bel mezzo dei lavori, addirittura l’anziano vescovo, il quale si è seduto assieme a noi e ha contribuito notevolmente allo sviluppo delle riflessioni, mostrando un grande interesse per l’argomento.

Come dire, non è l’età quella che impedisce di vedere le ombre e soprattutto le luci delle vite parallele.

Articolo pubblicato sul numero di febbraio di Fogli

mercoledì 7 marzo 2012

Il giusto equilibrio


Reduce da un incontro su come educare attraverso i film, tenuto da un esperto sceneggiatore che è anche educatore. Sono convinto che faccia sempre bene confrontarsi, aggiornarsi, pensare. Soprattutto quando da te e dalla tua ricchezza interiore dipende la maturazione di altre persone: è una delle regole-chiave che ogni educatore dovrebbe osservare se vuole lasciare traccia.
Ed in effetti, anche questa volta mi porto a casa un po’ di cibo per la mente: alcune considerazioni fatte dal relatore, che mi piace condividere con voi. Nulla di nuovo, ci tengo a precisarlo. Ma la bravura di un educatore sta proprio nel presentare le idee di sempre in maniera nuova e attraente. Un po’ come una mamma che si diverte – proprio così, si diverte – a preparare per figli e marito i cibi di sempre, ma conditi in maniera ogni volta diversa e magari con un pizzico di fantasia. Ci guadagna lei, che si diverte, appunto; e ci guadagnano anche marito e figli, che mangiano con più gusto.

Ma torniamo alla conferenza. Tra le tante cose che ho ascoltato, una mi è piaciuta particolarmente: l’elenco degli ingredienti che formano un educatore equilibrato. Ne venivano citati quattro: dottrina, affetto, spettacolo, progetto.
Sarà compito di ogni educatore (padre, madre, prof) amalgamarli nella maniera più adatta ad ognuna delle persone che si troverà davanti.
Vediamoli brevemente, uno per uno. Sono solo cenni, spero di tornare su ciascuno di essi nei prossimi articoli.

La dottrina. Chi vuole educare non può improvvisare. Oggi per educare bisogna studiare, aggiornarsi, lo scrivevo all’inizio. E lo ripeto sempre, tutte le volte che faccio un incontro ai genitori. Generare non è solo la conseguenza di un atto fisico; generare significa mettere al mondo un essere a me simile, un essere del mio stesso genere. Un essere che pensa, ama, soffre, gioisce, spera; che è capace di libertà. O meglio, che diventa nel tempo capace di libertà. Per questo per educare ci vuole un’idea a cui ispirarsi, bisogna conoscere l’uomo e le sue potenzialità, è necessario capire come affrontare la sfida educativa che ogni bambino o adolescente ci lancia.
Poi c’è l’affetto, l’amore. Se manca, ogni tentativo di educare è destinato inevitabilmente al fallimento. Educare non è un processo di produzione aziendale, in cui si parte da una materia prima e si arriva al prodotto finito attraverso l’osservanza di regole e istruzioni. L’uomo è libero, ho scritto sopra, e diventa pienamente libero nella misura in cui usa la sua libertà per amare se stesso, gli altri, la vita intera. Un amore che non può nascere e svilupparsi se non lo vede incarnato in chi lo ha generato. Scriveva Natalia Ginzburg: “Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro [ai figli] di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita”.
Al terzo posto, tra gli ingredienti dell’educatore equilibrato, veniva elencato lo spettacolo. Educare è anche giocare, divertirsi assieme, sognare, rischiare. La tristezza non fa parte dell’educazione. Sembra un’affermazione scontata ma quanti adulti dimostrano esattamente il contrario.
Ultimo ma non in ordine di importanza, il progetto. “Non esiste vento a favore per il marinaio che non conosce il porto di arrivo”, scriveva Seneca. Senza un progetto non c’è futuro. Oggi i ragazzi fanno una grande fatica a costruire progetti per la loro vita. Sognano, perché è impossibile vivere senza sogni. Ma non progettano, perché gli adulti hanno loro spento i riflettori che puntano sul futuro. La mancanza di progetti nei ragazzi va di pari passo con la mancanza di adulti significativi nella loro vita. Chi me lo fa fare a impegnarmi, se da grande sarò così?, sembrano dire tanti ragazzi parlando di chi dovrebbe guidarli.

Dottrina, affetto, spettacolo, progetto: gli ingredienti per fare un capolavoro ci sono tutti. Aggiungiamoci il sale della speranza e saremo pronti ad affrontare qualsiasi sfida con la certezza di uscirne sempre vincitori.


Articolo pubblicato sul blog della rivista Familiaria.