domenica 29 gennaio 2012

Non c'è sesso senza amore

Ho 13 anni e ho avuto due storie serie con due ragazzi diversi e capisco molto della vita. Con l’oratorio ho fatto qualche mese fa una gita dove c’era anche un mio amico. Al ritorno lui ci ha provato con me (ha 18 anni) e io sono stata un po’ al suo gioco (mi ha anche baciata) perché mi faceva sentire felice.
Abbiamo così iniziato a messaggiare e ci siamo conosciuti meglio. In uno dei messaggi mi dice però di non andargli dietro, altrimenti ci starei male, e che mi vuole parlare a voce. Quando lo vedo, mi risponde che in quel momento ha da fare e non mi parla più. Sono tornata a casa e ho pianto, perché io ci tengo molto a lui e la sua indifferenza mi ferisce.

Nell’iniziare questa nuova rubrica mi piace partire da alcune parole che ho letto, tempo fa, su una rivista per adolescenti. E’ solo uno dei tanti esempi di come, in maniera sempre più precoce, tanti ragazzi e soprattutto ragazze si sentano prepotentemente spinti a comportarsi da adulti. E, tra tutti gli atteggiamenti “maturi” che vengono sollecitati, il primo della lista riguarda quasi sempre la sfera della sessualità.
Nel parlare di educazione dell’affettività negli adolescenti, mi sembra doveroso fare subito una precisazione: da sempre l’uomo è stato prima bambino, poi adolescente e infine adulto. Da sempre, a un certo punto della sua vita, ha attraversato quel periodo di transizione in cui ha sperimentato l’affascinante e al tempo stesso inquietante sensazione di lasciarsi l’infanzia alle spalle per approdare alla vita adulta. Una tappa caratterizzata da insicurezze, paure, timori, entusiasmo, speranze, sogni.
Nessuna novità, quindi: l’adolescenza c’è sempre stata, anche se probabilmente non la si chiamava così e il bambino diventava adulto attraverso un periodo più o meno lungo in cui sbagliava e, facendo tesoro dei suoi errori, imparava. E lo faceva in maniera semplice e più o meno lineare, con buona pace di psicologi e pedagogisti.

Oggi non è più così: l’adolescenza è diventata una fase della vita sulla quale, nel bene e nel male, è stata puntata da decenni una gigantesca lente di ingrandimento che ne deforma i lineamenti, rendendocela quasi inquietante. Se ciò, da un lato, è comprensibile per via della crescente complessità in cui viviamo oggi, dall’altro però mi sembra che ci troviamo di fronte a una specie di “patologizzazione” di un fenomeno che è sempre stato assolutamente naturale. Qualcuno ha fatto nascere addirittura una scienza che si occupa del bambino che diventa adulto: l’adolescentologia. Mi sembra un tantino esagerato.

Premesso ciò, va ammesso comunque che di cambiamenti nel modo di vivere l’adolescenza, rispetto a un po’ di tempo fa, ce ne sono diversi. Se non altro perché l’eccessiva attenzione a questo periodo della vita, da parte di esperti più o meno accreditati, genera inevitabilmente ansie e problematiche nuove nei ragazzi stessi. Ma non c’è solo questo. Oggettivamente, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo assistito a dei cambiamenti sociali e culturali che hanno reso più complesso l’attraversamento di questo periodo della vita. Una delle dimensioni più delicate è proprio quella della sessualità e della formazione dell’affettività.
Senza voler fare la genesi del fenomeno, è sotto gli occhi di tutti il fatto che viviamo in una società fortemente erotizzata: oggi abbonda il sesso in TV, al cinema, nella musica, nei costumi. E la cosa più preoccupante non è tanto l’ossessione con cui si gira attorno a questo argomento ma il fatto che si avverte in maniera sempre più evidente una perdita del senso ultimo della sessualità. Il suo esercizio è stato sradicato da una visione antropologica che considera l’uomo innanzitutto come persona, dotato di una dimensione spirituale oltre che materiale, capace di entrare in relazione con l’altro e di amarlo. La sessualità – o, sarebbe meglio dire, il sesso – è diventata un gioco e l’uomo sembra aver dimenticato che essa è invece una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l'amore umano.

Chi paga il prezzo più alto di questa situazione sono soprattutto i giovani e gli adolescenti. Questi ultimi in particolare, fanno una grande fatica a decifrare il senso autentico della propria sessualità. Sanno tutto di sesso ma non sanno nulla di sessualità. Vivono sulla propria pelle una contrapposizione a volte devastante tra amore e sesso. Magari hanno già fatto esperienze sessuali, ma non hanno esperienza dell’amore.
E soprattutto non riescono a sviluppare la dimensione sessuale all’interno di una più ampia cornice affettiva e relazionale. Sì, perché di sesso oggi si parla tanto. Ma dei sentimenti non si parla. Non si parla del cuore. I ragazzi non sanno dare un nome a quello che provano dentro di sé. La conseguenza rischia di essere una lacerazione interiore tra ciò che essi fanno ed il senso di ciò che essi fanno.

Qualche mese fa una docente mi ha fatto leggere le domande fatte dai ragazzi della sua scuola alla psicologa che aveva appena tenuto un incontro di “educazione sessuale”. Ovviamente le domande erano anonime e quindi i ragazzi, che avevano un’età media di 15 anni, hanno potuto esprimersi senza alcuna inibizione. Ebbene, tra tutte le domande – erano più di venti – solo una chiedeva quale fosse il vero significato della sessualità. Le altre erano tutte un susseguirsi di curiosità su contraccezione e pratiche sessuali più o meno fantasiose…
Ora, è comprensibile che a 15 anni una persona sia attraversata da dubbi e curiosità sulla propria dimensione sessuale, ci mancherebbe altro; ed è giusto che i ragazzi sappiano. Ma è questo il modo per rispondere alle loro domande? Il dubbio è lecito, perché l’esperienza mostra che spesso gli interventi che si fanno a scuola su questo argomento sollecitano la curiosità degli ascoltatori più sulle domande tecniche che non su quelle di senso.
L’ultima indagine sugli stili di vita degli adolescenti, condotta dalla Società Italiana di Pediatria, ha evidenziato come ben 4 ragazzi su 10 di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, affermino che non c’è un’età precisa in cui iniziare ad avere rapporti sessuali completi; dipende da quando ci si sente pronti, hanno affermato gli intervistati. Una risposta che è tanto preoccupante quanto indeterminata.

Che fare, allora, per aiutare i figli adolescenti a sviluppare armonicamente la propria affettività in un contesto sociale che va da tutt’altra parte?
Innanzitutto è bene non allarmarsi. Non servirebbe a nulla e potrebbe portare a chiudere irrimediabilmente il canale di comunicazione con i figli.
Quello che serve è, semmai, una chiara consapevolezza del problema da parte degli educatori. In questo modo si potranno pensare interventi equilibrati, mirati e soprattutto adeguati alle personali necessità di ogni ragazzo.
E, ovviamente, non bisogna dimenticare che in questo campo, l’aiuto migliore che un genitore può dare ai propri figli per comprendere che cosa sia l’amore, è mostrarlo innanzitutto con la sua vita. E’ facile, infatti, parlare di amore. E’ più difficile farlo trasparire da ognuna delle proprie azioni. Eppure è questo l’unico modo per insegnarlo. Altrimenti rimane teoria, astratta e inutile. E la vita, quella vera, rimane un’altra cosa…

Articolo pubblicato sulla rivista Fogli (numero di gennaio 2012)

venerdì 20 gennaio 2012

Amici su Facebook? Sì, ma di presenza è più bello

Una scena vista altre volte: un centinaio di vivaci liceali con cui confrontarmi su un tema che sta a entrambi a cuore, l’amicizia. La sfida? Quella di capire assieme se Facebook può aiutare o meno ad essere amici. Voi che ne dite?
Vi racconto come è andata. Entro in aula e alcuni mi osservano quasi come se fossi un marziano da cui difendersi: sono pur sempre un adulto e gli adulti appartengono per principio alla categoria degli “esseri strani da cui prendere le distanze”.
Racconto loro la storia di due ragazzi che litigano sulla bacheca di Facebook, sotto gli occhi dei loro “amici”. I lettori di questo sito la ricorderanno; gli altri potranno rileggerla qui.
Risate, meraviglia, commenti del tipo “che scemi questi due” e “ma tanto a me non succede”.
Poi cominciamo a dirigerci verso il centro del nostro discorso: quali sono le caratteristiche dell’amicizia?
I ragazzi si lanciano in un elenco interminabile: coerenza, affetto, divertimento, onestà, fare cose stupide assieme, fiducia, avere interessi comuni, lealtà, fedeltà, rispetto, stima, aiutarsi nel momento del bisogno, complicità, casualità, perdono, gratuità… Forse ne dimentico qualcuna ma queste bastano da sole per mostrare che cosa c’è nei cuori di questi ragazzi. E mi piacerebbe tanto farlo vedere a certi adulti che fanno una gran fatica a guardarli bene, questi cuori.

Poi arriva il momento più importante: bisogna cancellare dalla lista ciò che non è proprio necessario all’amicizia, quello che se c’è è meglio ma, se qualche volta manca, siamo amici lo stesso. Ed ecco che parte, non senza fatica, l’esclusione degli accessori: la complicità, l’intesa e la disponibilità, che a volte possono mancare; il sostegno che in alcuni casi, anzi, è meglio non dare se non condivido quello che il mio amico sta facendo.
Ci areniamo per un po’ sul fare cose stupide assieme, sul divertimento, sullo stare assieme fisicamente; alcuni maschi non riescono proprio a escludere il divertimento dall’abc dell’amicizia.
Con il consenso di alcune ragazze cerco di chiedere loro se non sia possibile essere amici anche se non sempre ci si diverte assieme, ma non c’è verso di far cambiare idea. E’ proprio vero, gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere…
Alla fine vince la maggioranza e anche gli ultimi accessori saltano.
Rimangono solo gli ingredienti che compongono due pilastri dell’amicizia.
Il primo è la condivisione dell’intimità: tu sei mio amico perchè con te e solo con te condivido qualcosa di molto personale. Per la nostra amicizia c’è bisogno di fiducia, stima, fedeltà.
Il secondo è la chiarezza di identità tra gli amici. Rimango tuo amico solo se tu sei autenticamente te stesso. Per questo ti voglio sincero, coerente, leale. Altrimenti smetto di esserti amico appena ho il sospetto che stai indossando una maschera.

A questo punto arrivo alla conclusione, con una domanda che lascio ai ragazzi: se non si può essere amici senza condivisione dell’intimità e senza consapevolezza di avere davanti una persona autentica, come può svilupparsi un’amicizia se la mia vita si svolge per tanto, troppo, tempo su Facebook, che dell’identità e dell’intimità ha decretato la morte?
Mi accorgo che la risposta non è così scontata, perché è difficile mettere anche per un attimo in discussione ciò che credi ti sia entrato dentro fino a essere quasi parte di te…
Ma il dubbio è stato posto e questo era l’obiettivo.
La stessa domanda pongo a voi lettori, non senza dirvi che alla fine dell’incontro me ne sono tornato a casa per l’ennesima volta con una convinzione: con questi ragazzi è possibile cambiare il mondo. Basta solo crederci e farlo credere loro. Forse così ci guarderanno con occhi diversi: gli occhi di chi sa che può contare su di te.

Articolo pubblicato sul blog della rivista Familiaria

lunedì 9 gennaio 2012

Una bomba nel cuore


L'inizio di una storia è sempre magica... quando vieni fulminato "accetti" tutto... anche i difetti. Non ci pensi nemmeno a ragionarci su. Il problema nasce dopo, quando inizi a razionalizzare tutto... Il tuo ideale non corrisponde alla realtà e così facendo il cuore si contrappone alla ragione.
Di solito vince sempre il cuore, ma quando non si è corrisposti la ragione prende il sopravvento...
Sono le parole, prese da un forum, di una ragazza che ha sperimentato personalmente la sensazione indescrivibile che si prova quando si è innamorati. Una sensazione unica, affascinante, intensa, che quasi sempre porta con sé un coinvolgimento del cuore così forte da lasciare nell’ombra la ragione. Chi di noi è stato innamorato almeno una volta nella vita sa bene quanto sia difficile, in quei momenti, provare a dar retta ai ragionamenti che vengono della nostra testa; sempre che ci siano, questi ragionamenti, perché spesso è come se la testa fosse spenta…
Ma che cosa succede quando, inevitabilmente, essa si riaccende? E, soprattutto, quanto incidono queste dinamiche sul nostro grado di felicità?
Aristotele scriveva che, se vuole essere felice, l’uomo deve esercitare in modo eccellente la funzione che gli è propria, ovvero ciò che lo contraddistingue dagli altri esseri. Viene spontaneo pensare che il filosofo greco si riferisse alla parte razionale dell’uomo: chi se non solo l’uomo è in grado di pensare, fare ipotesi, amare consapevolmente, odiare, scrivere poesie, dipingere un quadro, costruire una cattedrale, scolpire una statua?
Eppure sono proprio le due facoltà che ci dimostrano il nostro essere “animali razionali”, ossia l’intelligenza e la volontà, che ci portano a pensare che il nostro agire non è soltanto il frutto di freddi ragionamenti. Per realizzare il Giudizio universale o la Pietà, infatti, è impensabile che Michelangelo abbia fatto affidamento solo sulla sua razionalità. I due capolavori sarebbero stati tali se l’artista toscano non avesse attinto alla sfera sensibile della sua anima, ai suoi sentimenti e desideri, alle sue emozioni e passioni? Sarebbe bastata la ragione senza il sentimento? Probabilmente no.
Conciliare la testa e il cuore però non è facile, soprattutto in un mondo che sembra abbia deciso di consacrarsi a quello che Michel Lacroix, in un bellissimo e interessante libro, ha chiamato Il culto dell’emozione.
Leggiamo ancora dal web una “perla di emotività allo stato puro”: anche io sono d'accordo, al cuor non si comanda... il cuore ha sempre ragione... e a volte prevale anche sulla ragione... comunque forse non è sempre giusto seguire il cuore, perché a volte potrebbe anche portare alla tristezza... ma d'altronde tentar non nuoce, no? E poi il cuore è il cuore... lui dice sempre la verità!
Quante volte ci siamo trovati a dover mettere d’accordo la nostra ragione con le emozioni, i sentimenti, le passioni, i desideri che albergano nel nostro cuore! Quante volte abbiamo avuto come l’impressione di avere dentro una vera e propria bomba pronta a esplodere da un momento all’altro! Ricordate la mano che teneva una bomba a forma di cuore sanguinante, raffigurata sulla copertina di American Idiot dei Green Day? Mai immagine è stata più esplicita nel rappresentare il vissuto emotivo di tanti ragazzi.

L’affettività: emozioni, sentimenti, passioni
Per capire come riuscire a trovare il giusto equilibrio, credo che sia utile spendere due parole sull’affettività, che è una specie di anello di congiunzione tra la sfera cognitiva e quella biologica di una persona. I movimenti dell’affettività hanno origine nel nostro corpo, come reazioni soggettive agli stimoli esterni (l’ambiente e le relazioni con gli altri) ed interni (in particolare la memoria).
Pensiamo alle reazioni di rossore, pallore, sudorazione, agitazione motoria, postura, sguardo, tono della voce, gestualità, espressioni del viso che accompagnano molti dei nostri moti affettivi.
Tra essi individuiamo innanzitutto le emozioni, che di solito sono molto intense, nascono improvvisamente ed hanno una breve durata: per esempio, pensiamo alla paura che, poco prima di un’interrogazione, ci fa tremare la voce o ci fa dimenticare quello che dobbiamo dire.
Troviamo poi i sentimenti, che sono meno intensi e più duraturi delle emozioni, e che influenzano molto la nostra vita affettiva ed il modo con cui percepiamo e giudichiamo le cose, le persone, noi stessi: tra i sentimenti, per esempio, possiamo mettere la simpatia, l’antipatia, la gelosia, la tenerezza, l’amore (che non è solo un sentimento, però!).
Ed infine ci sono le passioni, che assomigliano alle emozioni per intensità e ai sentimenti per durata. Se gestite bene, esse ci permettono di vivere nel migliore dei modi le relazioni con gli altri e gli impegni della vita, con entusiasmo e convinzione. Basti pensare a come sia pienamente umano l’amare con passione, il lavorare con passione, l’essere capaci di soffrire con passione.

Doping emotivo
A questo punto torniamo a chiederci: come fare per riuscire a orientare questa straordinaria forza interiore che, se governata bene, ci può aiutare ad esprimere pienamente tutta la nostra potenzialità umana? E soprattutto, come farlo nonostante i continui stimoli emotivi che, al grido del “Cogli l’attimo” oraziano, puntano a far vibrare soltanto le corde del nostro cuore?
Michel Lacroix parla di sovrastimolazione emotiva a cui siamo sottoposti costantemente, soprattutto da film, videoclip, fiction e spot pubblicitari, ma non solo: tutto è previsto perché i suoni ci facciano compagnia. In effetti, se ci pensiamo bene, i nostri sensi sono costantemente assediati da stimoli sonori che non ci danno tregua, in metrò, per strada, a casa con la TV, youtube, ipod e via dicendo. Ma anche gli stimoli visivi ci spingono a cercare emozioni sempre più forti: ascoltare musica con il dolby surround, possibilmente davanti ad un maxischermo ad altissima definizione; o ancora, emozionarsi seguendo una gara di Formula1 o di motoGP attraverso le immagini della telecamera montata sull’auto o sul casco del pilota.
Lacroix nel suo libro parla di emozioni shock, contrapponendole alle emozioni-contemplazione. Paragona le prime all’effetto che ha su di noi un giro sulle montagne russe: intense, forti, folgoranti, che spingono in modo travolgente a cercarne altre sempre più forti.
Le seconde, invece sono emozioni che si iscrivono nella durata, nel tempo. Sono le emozioni che proviamo quando guardiamo un tramonto, un bel quadro, leggiamo un libro, ascoltiamo un concerto di musica classica: è più facile elaborarle, gustarle, farle proprie e trasformarle in sentimenti duraturi.
Ogni uomo ha bisogno di entrambi i tipi di emozione: che cosa ci succederebbe, per esempio, se fossimo così apatici da non provare quella paura necessaria per fuggire una situazione di pericolo? Ci servono entrambe, quindi, ma il mondo odierno ci fornisce una quantità sproporzionata di emozioni-shock, a scapito di quelle emozioni che, attraverso la contemplazione, ci permettono di godere il sapore di relazioni umane profonde e arricchenti.
Il risultato rischia di essere una vita in cui, paradossalmente, perdiamo ogni sensibilità; viviamo in uno stato di permanente eccitazione ma non sappiamo più sentire. Siamo allo stesso tempo sovraeccitati e insensibili: I’ve become so numb, direbbero i Linkin Park.

La morale dell’attenzione
Eppure una via d’uscita al bombardamento emotivo e all’aggressività delle emozioni-shock sembra esserci. E’ quella che ci spinge all’accoglienza, all’attenzione, all’accettazione dell’altro, al suo ascolto. Costruire una morale dell’attenzione che si contrappone alla morale dell’utile, della soddisfazione immediata, dell’interesse personale.
Come fare?
Innanzitutto possiamo cercare di rafforzare le passioni buone. La nostra è chiamata l’epoca delle passioni tristi, delle passioni che portano alla morte, fondate sull’utile, sulla soddisfazione immediata che spesso lascia spazio ad un profondo senso di vuoto.
Ricordate il discorso appassionato di Roberto Benigni ai suoi studenti in La tigre e la neve?
Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto! Vi dovete innamorare e diventa tutto vivo… Per trasmettere la felicità bisogna essere felici. E per trasmettere il dolore bisogna essere… felici. Siate felici! Dovete patire, stare male, soffrire, non abbiate paura a soffrire, tutto il mondo soffre! 
Benigni fa passare la felicità dalla sofferenza: sarà un caso che passione e patire derivano dalla stessa radice latina che indica il verbo soffrire? E la sofferenza non è forse agli antipodi rispetto ad uno stile di vita impostato sulla ricerca dell’emozione facile?
Un altro mezzo per costruire in noi la morale dell’attenzione è la lentezza. Se ci pensiamo bene, le emozioni-shock uccidono il presente, proiettandoci verso i piaceri che ci riserva il futuro immediato: sono impazienti, insaziabili. Lasciamo vivere in noi il presente, rallentiamo il ritmo della nostra esistenza. Ci pensiamo a quanto è bella e gratificante l’emozione di un’amicizia che cresce a poco a poco, di un amore che si sviluppa senza la fretta di bruciare le tappe?
Un ulteriore aiuto contro lo stordimento emotivo contemporaneo è dato dalla lettura. Nelle immagini tutta l’informazione è data di colpo. Quando leggiamo, invece, la rappresentazione mentale viene elaborata progressivamente e questo richiede tempo. Essa matura lentamente ed è più facile che dia origine a quelle emozioni profonde, che si metabolizzano nella nostra vita interiore.
In definitiva, si tratta di riscoprire la bellezza dell’agire disinteressato e gratuito. Per essere disponibili ed accoglienti nei confronti degli altri, per contemplare il mondo che ci circonda, bisogna mettere da parte gli scopi utilitari. “A mio figlio fanno studiare Manzoni, ma a che cosa gli serve, visto che farà l’ingegnere?” si lamentava il papà di un liceale…
Forse ci può essere utile, per concludere, riflettere su questo breve ma significativo racconto.
Un monaco, un bandito, un pittore, un avaro e un saggio viaggiavano assieme.
Al calar della notte essi trovarono rifugio in una grotta.
- Che bel rifugio per dei fuorilegge – esclamò il bandito.
- Il posto è perfetto per nascondere un tesoro – osservò l’avaro.
- Che bel soggetto per un quadro questi giochi di luce e di ombre sulle pareti – sospirò il pittore.
- Il posto è propizio per la meditazione, qui si potrebbe fare un eremo – suggerì il monaco.
Il saggio, da parte sua, pronunciò queste semplici parole:
- Che bella grotta!

Articolo pubblicato sul numero di dicembre di Dimensioni Nuove