martedì 18 ottobre 2011

La testa & il cuore


Prima a Teramo, poi a Perugia: due città, la stessa storia. Due bambini uccisi dal sole cocente, dopo essere stati dimenticati dai rispettivi papà sul sedile posteriore dell’auto.
Due fatti che, solo due mesi fa, hanno sconvolto gli italiani, anche per via della vicinanza temporale tra di essi.
Come è potuto accadere? Come è possibile che un papà possa dimenticare il proprio figlio in auto, andare a lavoro, e non pensarci per ore e ore? Come è possibile? Sono domande alle quali faccio fatica a trovare risposta.
Forse è perché ho un nipotino di otto mesi che torna costantemente nel mio cuore e nella mia mente, molte volte al giorno, che non ci riesco.
Eppure le persone verso le quali sento profonda pena, sono proprio i due papà, che difficilmente potranno liberarsi di questo dolore fino all’ultimo giorno della loro vita. Due papà che nessuno di noi può giudicare ma solo comprendere nella loro immensa sofferenza.

Torno a chiedermi: come può un papà dimenticare in auto il proprio bambino?
Dimenticare significa letteralmente fare uscire di mente. Ancora più inquietante è l’etimologia della parola “scordare”, che significa togliere dal cuore. Quando mi scordo qualcosa, è perché quella cosa non sta nel mio cuore; il mio cuore si trova da un’altra parte, è messo su qualcos’altro che per me è più importante.
Considerare il significato di queste parole mi lascia ancora più sgomento. Come può un papà fare uscire di mente il proprio figlio, come può farlo cadere dal cuore? E’ impensabile, è contro la natura umana.

Forse a qualcuno saranno venute in mente le parole del libro di Isaia: “si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro ti dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. E’ incredibile: neanche Dio esclude che possa accadere una tragedia del genere, addirittura in una madre, che solitamente vive il rapporto con il proprio figlio in maniera più intensa del papà.
E’ un richiamo alla nostra debolezza, alla presa di coscienza dei nostri limiti. Sì, perché Dio non vive nel tempo e nello spazio; noi uomini invece sì. Ed è nel tempo e nello spazio che si manifestano i nostri limiti umani.
Qualche giorno fa mi trovavo con un amico; parlavamo di adolescenti, di come amarli e aiutarli a dare il meglio di sé. Entrambi eravamo assolutamente convinti che la risposta stava proprio in quelle due dimensioni che Kant definiva le forme pure dell’intelletto: lo spazio e il tempo.

Spazio e tempo sono il palcoscenico dove vanno in scena i nostri limiti. Ma sono anche la misura dell’amore.
E’ nella donazione dello spazio e del tempo che un uomo dimostra di amare. Fare entrare un’altra persona nel nostro spazio è sintomo di fiducia, di disponibilità, di amore, in definitiva. Entrare nello spazio di un’altra persona può avvenire solo se questa si fida di noi, se ci ritiene degni di tale passo.
Anche il tempo ci restituisce la misura dell’amore.
Michael Ende, in uno dei due splendidi romanzi che ci ha lasciato, descrive la vita di una bambina, Momo, che riesce a mettere armonia tra gli abitanti di un villaggio con il semplice fatto di donare loro il meglio di cui dispone: li ascolta, senza dire mai una parola (dona loro il proprio tempo), ricevendoli in un bosco fuori dal villaggio (li ospita nel suo spazio). Basta poco a Momo per far tornare a casa sereni tutti coloro che si rivolgono a lei con un problema, a volte apparentemente irrisolvibile.

Forse sta proprio nella attuale crisi dello spazio e soprattutto del tempo che dedichiamo alle nostre relazioni significative, la risposta alla domanda che non finisce di tormentarmi da giorni: come è potuto accadere?
Un liceale mi raccontava giorni fa della cena di fine anno con i professori e i genitori come di una cena sfigata, perché a 18 anni una cena con i prof e i genitori è effettivamente da sfigati… Mi sono messo a ridere, pensando che una frase del genere ci sta tutta se uno si mette nella testa e nel cuore di un diciottenne.
Ma poi ho pensato a quanto bene fanno queste occasioni in cui si coltivano le relazioni, anche se si tratta di feste sfigate… Occasioni che permettono, come si dice nella mia terra, di perdere tempo con gli altri.
Magari dobbiamo riappropriarci del nostro spazio e del nostro tempo, che abbiamo venduto al lavoro, alla realizzazione personale, alle “cose da fare”, sempre di fretta: non sarebbe forse il modo migliore per gustare e assaporare meglio quello che facciamo?
Magari abbiamo bisogno di condividere maggiormente lo spazio e il tempo con gli altri, con le persone che ci stanno accanto, con i nostri amici e familiari: non è forse questa la materia prima di ogni relazione interpersonale?

Mi ha sempre fatto sorridere la pubblicità del Mulino Bianco che rappresenta una famiglia felice e spensierata, seduta attorno ad un tavolo a fare colazione come se il tempo non scorresse mai, come se nessuno avesse problemi. Una famiglia che ai più sembra finta, irrealistica, impossibile che possa esistere oggi.
Perché si arriva a pensare così, mi chiedo? Perché ci sembra finta una famiglia che, dopotutto, incarna i più nascosti desideri di felicità che riempiono il cuore di un uomo?
Può darsi che abbiamo bisogno di tornare a imparare la bellezza del perdere tempo con gli altri?
Dedicare tempo e spazio alle persone che amiamo è la cosa più bella e gratificante che possiamo fare. E’ il fondamento su cui poter costruire una relazione significativa. Ed è anche la base di ogni rapporto efficacemente educativo.
Rallentiamo il ritmo e la velocità della nostra vita perché le persone che amiamo possano affiancarci ed arricchirsi della relazione con noi.
Allora, forse, ci verrà più facile rimettere il cuore e la testa nelle cose e soprattutto nelle persone che per noi contano davvero.

Articolo pubblicato sul numero di Ottobre 2011 di Fogli

2 commenti:

  1. VoglioLaRivincitaAlBowling20 ottobre 2011 alle ore 00:22

    Poveri quei 2 Papà. Avranno avuto mille pensieri per la testa e non sono riusciti a recuperare a quello più importante.
    Mi piace questa parte:
    "Una famiglia che ai più sembra finta, irrealistica, impossibile che possa esistere oggi.
    Perché si arriva a pensare così, mi chiedo? Perché ci sembra finta una famiglia che, dopotutto, incarna i più nascosti desideri di felicità che riempiono il cuore di un uomo?"

    Però il concetto di fondo dell'articolo potrebbe risultare ai più, tanto giusto quanto astratto.

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  2. Sì, forse a qualcuno potrà sembrare astratto. Ma meglio questo che dare la ricetta pronta per volere bene (che non esiste).
    Ognuno dovrebbe trovare la giusta via per spendere tempo e spazio per le persone che ama.

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