giovedì 21 aprile 2011

Chi ha paura di Facebook? (seconda parte)

Continuiamo a parlare dei media digitali, che tanta influenza hanno nella vita dei nostri ragazzi. Il mese scorso si ricordava che per un educatore è molto importante l’atteggiamento da avere nei confronti di questi strumenti: deve avere il desiderio di conoscerli, di comprenderne le dinamiche, se possibile di usarli anche. Qualche mese fa un amico mi diceva: “I miei figli non useranno mai Facebook”. Alla mia domanda se lui lo avesse mai usato, mi rispose di no. Pensai istintivamente all’immagine del bambino che non vuole la minestra pur senza averla mai assaggiata…

Conoscere Facebook & dintorni significa conoscerne luci e ombre, potenzialità e limiti. E aiutare i ragazzi a rendersene conto anche loro.

Prendiamo ad esempio il problema della superficialità. Internet ha accorciato enormemente le distanze spazio-temporali; e questa è una grande conquista. E’ entusiasmante poter chattare con una persona di un altro Paese che si è conosciuta durante una vacanza. Oppure poter vedere attraverso una webcam che cosa succede dall’altra parte del mondo. O ancora, per i ragazzi, informarsi sui compiti per il giorno dopo, poter organizzare una festa o una partita di calcio con pochi click e a costo zero! Il prezzo da pagare è però una comunicazione decisamente più povera. Manca la voce, il suo timbro, la cadenza, i gesti che accompagnano le parole. Non c’è la manifestazione delle emozioni sul volto dell’interlocutore, semplicemente perché questo volto non posso vederlo… Una comunicazione povera che si sviluppa con estrema rapidità. E si sa che ciò che è rapido spesso spinge a rimanere in superficie. La riflessione ha bisogno di tempo, di lentezza. Caratteristica estranea alla logica di internet.

Cambiamo pagina. Tanti genitori infieriscono su Facebook perché non aiuta i figli a comprendere che cosa è la vera amicizia. Mio figlio ha 400 amici su Facebook, ma quanti di questi sono amici veri???
A questi genitori andrebbe chiesto che cosa fanno loro per aiutare i figli ad avere amici veri, reali, in carne ed ossa. Quanto tempo dedicano loro per far toccare con mano la bellezza di relazioni autentiche, profonde, gratuite, belle, vissute personalmente, a tu per tu, in presenza? Rapporti che possono essere iniziati o continuati anche attraverso il web, che diventa così uno strumento per approfondire amicizie vere.

Poi c’è il timore che i ragazzi incappino in contenuti pericolosi: violenza, pornografia, razzismo, droghe e via dicendo. Per evitare ciò sono di grande aiuto i filtri e i cosiddetti programmi di Parental control da installare sui computer; come pure è bene evitare che i figli tengano il computer in camera. Soluzioni utili ma che, di per sé, hanno un’efficacia molto ridotta. Meglio lavorare sulla motivazione, per portare poco alla volta i ragazzi a convincersi liberamente di non accedere a certi contenuti. Come? Rafforzando la comunicazione all’interno della famiglia, favorendo la formazione culturale degli adolescenti attraverso la passione per la lettura – dando essi per primi l’esempio! – , aiutandoli a comprendere l’uso corretto della libertà e la bellezza dell’amore umano. In questo modo i ragazzi stessi arrivano a capire quanto sia riduttivo e umiliante il modo in cui viene rappresentato spesso dai media.

In sostanza, chi educa deve puntare a sviluppare nei ragazzi un sano senso critico. E per farlo deve mettere in gioco tempo, pazienza, sforzo personale. Già, sforzo personale, perché bisogna per primi dare l’esempio ai propri figli. E’ molto più comodo vietare, proibire, comandare. E’ più comodo ma è molto meno efficace.

Continuiamo nell’elenco delle problematiche legate all’uso dei digital media ed arriviamo a quello che forse è uno degli inconvenienti più seri: l’invasività di Facebook. Volete sapere tutto su una persona? Cercatela su Facebook; il più delle volte raggiungerete il vostro obiettivo! Facebook vi permette di sapere come è fatta, qual è la sua età, la sua situazione sentimentale, il suo orientamento politico o religioso, quali sono le persone che frequenta su Facebook ma anche nella vita reale, quello che fa abitualmente (attraverso i suoi stati personali, le foto e i video caricati).

E il più delle volte le persone non si rendono conto che quello che scrivono o pubblicano di sé viene visto da centinaia o addirittura migliaia di persone. Ma c’è di più. Quanti di coloro che mettono le proprie foto su Facebook o che scrivono di essere tristi perché hanno litigato con un amico si esporrebbero allo stesso modo se fossero realmente davanti a tutti gli amici di Facebook contemporaneamente presenti?

A volte mi diverto nel vedere come un liceale che conosco per la prima volta a scuola mi dia del “lei” e pochi giorni dopo, su Facebook, passa senza alcuna remora al “tu”; ma ciò che mi diverte di più è il suo imbarazzo nel tornare al “lei” quando ci rivediamo a scuola. Questo succede perchè il monitor indebolisce e a volte annulla le barriere che proteggono la propria intimità. E Facebook è la massima rappresentazione di tale potere del web. Ma se l’intimità, che è quanto di più prezioso una persona possiede, diventa merce di tutti, che cosa potrà condividere di strettamente personale con coloro che ama di più? Che cosa potrà condividere con gli amici (quelli veri, reali, di carne)? Che cosa potrà donare di sè alla persona che diventerà la sua compagna di vita per sempre? Che cosa proteggerà come valore inestimabile che le permette di possedersi ed, in definitiva, di amarsi?

Ciò che è intimo, quindi, diventa a disposizione di tutti. Ma facendosi pubblico, paradossalmente esso svanisce, si perde e la persona si sente come violentata, anche se sul momento non se ne rende conto.

Perciò la migliore soluzione a questo problema va cercata sin dall’infanzia, aiutando i bambini a salvaguardare la propria intimità e a curare la virtù del pudore. Se un ragazzo arriva alle soglie dell’adolescenza con la piena consapevolezza di possedere dentro di sè un tesoro da proteggere a tutti i costi, gli verrà più facile farlo anche se usa Facebook o altri strumenti che mettono a repentaglio questo tesoro.

Come comportarci quindi per non perdere il contatto con il mondo dei nostri figli? Proviamo a trarre alcune conclusioni.

Innanzitutto ci vuole credibilità. I ragazzi ci guardano. Il problema educativo è degli adulti, ai quali è richiesta innanzitutto coerenza. Oggi mancano veri educatori, per questo si parla di crisi educativa. Gli adulti sono assenti e i ragazzi ne pagano le conseguenze. Dobbiamo lavorare quindi su di noi innanzitutto.

Poi è necessario il dialogo con la cultura post-moderna. Non serve fare crociate, cercare il muro contro muro, che oltre a non portare a nessuna conclusione costruttiva spesso non fa altro che esasperare le posizioni reciproche.

Infine, bisogna armarsi di molta pazienza. Pazienza per capire il mondo dei giovani; o almeno fare lo sforzo di capirlo. Pazienza per aggiornarsi; oggi educare è diventata una professione a tutti gli effetti; ed ogni professionista che si rispetti non può trascurare il proprio aggiornamento. Bisogna che ci si riappropri degli spazi umani, attraverso la lettura, i rapporti umani profondi, la dedicazione di tempo; perché si possa costituire quel territorio comune tra le diverse generazioni che è necessario per poter trasmettere a ogni persona giovane la convinzione – sono parole di Benedetto XVI - della “bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune”.


Articolo pubblicato sul numero di aprile 2011 di Fogli (edizioni Ares)


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