venerdì 8 aprile 2011

Chi ha paura di Facebook? (prima parte)

“Internet è un vero dono per l’umanità (…) è gratificante vedere l’emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione (…) Sentitevi impegnati a introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita…”

Mi piace partire da queste parole di Benedetto XVI per rassicurare quei genitori terrorizzati dall’avanzata inarrestabile di un mostro che starebbe “divorando” il tempo, la mente, l’anima dei loro figli. Genitori in crisi perché non riescono a stare al passo con lo sviluppo tecnologico; genitori che vedono affievolirsi ogni speranza di salvare quel filo sottile che ancora permette loro di comunicare con i propri figli adolescenti, colpevoli di rimanere sempre più spesso chiusi in camera a passare il tempo su Facebook, mentre il mondo, quello vero, va avanti senza di loro…

Genitori spaventati. Genitori disorientati. E, va aggiunto, genitori spesso inconsapevoli.

Di cosa? Inconsapevoli che il vero problema probabilmente è dentro di loro. Sia chiaro, non è mia intenzione difendere a spada tratta Facebook, Messenger, siti web e media digitali, dei quali peraltro sono un grande utilizzatore. Ma siamo sicuri che il problema siano i media?

O meglio, siamo sicuri che il problema sia solo questo? Può darsi che sia necessario fare un passo indietro e interrogarsi in senso più ampio sul rapporto con i nostri ragazzi? E’ possibile che dobbiamo chiederci perché i media hanno guadagnato così tanto spazio nella loro vita da farci temere che c’è qualcosa che non va?

Mi capita spesso, quando parlo di questi temi con alcuni genitori, di cogliere due tipi di reazione. A volte un atteggiamento negativo: ai media andrebbe data la colpa di tutto, soprattutto dell’impoverimento relazionale e lessicale. Non sanno più parlare! Non sanno più scrivere! Sanno scrivere solo TVB, Xkè, xò, nnt e via dicendo…, si lamentano allarmate molte mamme (e pochi papà, ma di questo parleremo un’altra volta…).

Altre volte, l’atteggiamento dei genitori è diametralmente opposto: una sorta di rassegnazione, di resa “generazionale” che ha tra le conseguenze più pericolose quella di tagliarli fuori dalla sfida educativa lanciata dai loro figli. Un educatore, un genitore, oggi più che mai è chiamato innanzitutto a dare speranza e ottimismo; non può arrendersi o dare l’impressione di farlo.

Non è vero che i ragazzi si chiudono nel loro mondo “virtuale” perché non vogliono parlare con gli adulti. Anzi, in essi spesso si avverte un crescente bisogno di socializzazione verticale: i giovani cercano – perché ne hanno bisogno - adulti capaci di essere punti riferimento e li cercano innanzitutto nei genitori. Essi cercano disperatamente modelli autorevoli; ma l’autorità non si impone, semmai viene riconosciuta dagli educandi, quindi bisogna conquistarsela. Quando i giovani non trovano negli adulti dei veri punti di riferimento, succede che li cercano altrove e quindi anche nei media; essi allora non si sono emancipati dagli adulti, ma li hanno solo surrogati. I media non hanno sottratto spazi educativi agli adulti, sono questi ultimi che glieli hanno lasciati.

Tempo fa ho letto queste belle parole di Natalia Ginzburg: « Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro [ai figli] di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita ».

Perché l’amore alla vita genera amore alla vita. Parole sagge, che vanno vissute prima ancora che dette. Mostrare l’amore alla vita per mezzo della propria vita: un genitore non può abdicare a questo compito primario che è quello che i figli si aspettano. E mostrare che la vita è bella significa anche valorizzare ciò che di buono c’è nelle novità che i figli ci presentano. Anche Facebook, sì…

Perché per comunicare con le nuove generazioni e non aumentare a dismisura il gap che ci separa da esse bisogna conoscere il loro linguaggio, capirlo, valorizzarne le istanze positive; solo così, acquistando credibilità e fiducia nei confronti dei ragazzi, un educatore sarà in grado di aiutarli a cogliere anche le negatività insite nell’uso di questi strumenti. Bisogna convincersi che non è vero che essi siano strumenti negativi; dipende dall’uso che se ne fa, come avviene per tutto. Se li si usa bene sono utili; altrimenti diventano inutili o dannosi. Internet, per esempio, è una vetrina che presenta il mondo: se il mondo ha degli aspetti negativi, internet ci presenterà contenuti negativi; se il mondo ha degli aspetti positivi, internet ci presenterà contenuti positivi. Il problema non è internet ma il mondo. E lo stesso si può dire per Facebook, Youtube, Messenger, video-telefonini, ecc.

Va fatta un’altra considerazione. Non è possibile arrestare il tempo e con esso il progresso. Le nuove generazioni vengono identificate con il termine di nativi digitali, per rimarcare la forte influenza che le tecnologie digitali hanno su di esse. Si tratta di ragazzi nati nell’era dei digital media, a differenza dei loro genitori che, al limite, possono essere considerati immigrati digitali, come vengono chiamati dagli studiosi coloro che si sono avvicinati solo da adulti alle nuove tecnologie.

Ciò significa che in questi ragazzi è diverso il modo di comunicare, di ragionare, di percepire la realtà, di provare e rappresentare le proprie emozioni. Questo è un dato di fatto da cui partire per poterli aiutare. Non si può partire dalla considerazione che “oggi i giovani non sanno comunicare!”. A parte il fatto che non è vero, perché comunicano e anche tanto. Semmai lo fanno in maniera diversa rispetto agli adulti. E poi questo è il modo migliore cha ha un adulto per tagliare i ponti con loro.

All’inizio di questo articolo ho precisato che esso non è un’apologia di Facebook e dintorni. E’ ovvio che ci sono degli aspetti problematici relativi all’utilizzo dei digital media da parte dei figli. Ma ogni intervento educativo sull’uso dei media sarà efficace nella misura in cui noi per loro siamo persone credibili, amabili, autorevoli, autentiche, positive.

Premesso ciò possiamo adesso affrontare le difficoltà educative connesse all’uso di questi strumenti, con l’obiettivo di valorizzarne maggiormente gli aspetti positivi e minimizzarne invece le istanze negative.


Articolo pubblicato sul numero di marzo 2011 di Fogli (edizioni Ares)
La seconda parte verrà pubblicata nel numero di aprile

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