martedì 7 febbraio 2012

Libero di scrivere le mie "storie"?


“Voglio sentirmi libero da questa onda, libero dalla convinzione che la terra è tonda, libero libero davvero non per fare il duro, libero libero dalla paura del futuro, libero perché ognuno è libero di andare, libero da una storia che è finita male, e da uomo libero ricominciare, perché la libertà è sacra come il pane, è sacra come il pane”.
Così cantava tre anni fa Fabrizio Moro, in una canzone che, oltre ad essere considerata un inno alla libertà da molti ragazzi, è stata anche usata come colonna sonora di una delle serie per adolescenti di maggiore successo degli ultimi anni, I liceali.

E’ facile parlare di libertà, la canzone di Fabrizio Moro non è l’unica a farlo; lo è di meno, però, dire che cosa sia effettivamente la libertà.
Scriveva Hegel: “Di nessuna idea si sa così universalmente, che è indeterminata, polisensa, adatta e perciò realmente soggetta ai maggiori equivoci, come dell’idea della libertà; e nessuna corre per le bocche con così scarsa coscienza”.
Già, non è facile definire la libertà in un mondo che ha fatto dell’abbattimento di limiti e barriere una conquista che non sempre però ci lascia convinti. “Voglio sentirmi libero da questa onda”, canta Fabrizio Moro. Molti vedono la libertà come la possibilità di sganciarsi da ogni tipo di vincolo. Liberi da qualcosa o qualcuno: solo così si realizzerebbe pienamente la nostra libertà. Eppure ci rimane il dubbio che qualcosa, in questa definizione, non funzioni. Fino a che punto possiamo parlare, infatti, di libertà di aborto o di divorzio, di libertà di ricerca scientifica in campi delicatissimi come l’embrione e le cellule staminali, di libertà di legittimare nuove forme di famiglia o di esercitare preferenze sessuali diverse e senza regole? Fino a che punto è lecito parlare di libertà di eutanasia o, come fanno alcuni in Olanda, di libertà di pedofilia?
In un mondo che vuole annullare ogni limite che impedisca il nostro agire libero, ci chiediamo allora: deve esistere un limite anche per la libertà? E ancora, a che cosa serve la libertà? E’ un fine oppure un mezzo, uno strumento?

Leggete un po’ queste parole trovate tempo fa sul web: “Essere liberi, vuol dire avere la consapevolezza di se stessi per poter sfidare il mondo, senza paura delle conseguenze e del finale che comporteranno le tue azioni....perché se sei libero, lo sei dal tempo, dal passato, dal presente ma soprattutto dagli altri....” Parole affascinanti, forse; ma ci fanno rimanere col dubbio che qualcosa non quadri: è mai possibile che il dono più bello che abbiamo ci serva proprio per non aver alcun vincolo con niente e con nessuno? E’ possibile che la nostra libertà sia assoluta, che si realizzi nello sganciarsi “da” qualsiasi legame, e che non sia invece “per” qualcosa di grande?
Di libertà ha parlato nel 2007 il bellissimo film Into the wild, che racconta l’impresa di un ragazzo che fugge dal suo mondo, da solo, per raggiungere la libertà assoluta in Alaska. Senza dire come va a finire – anche se molti di voi lo avranno visto - , come non ricordare le parole con cui Chris, il protagonista, compie la più grande scoperta del suo lungo viaggio alla ricerca della felicità, e cioè che questa “è reale solo se è condivisa”?
Libertà da o libertà per qualcosa? E’ questa la domanda su cui l’uomo si interroga da sempre. Molti filosofi antichi hanno sostenuto che la libertà vada usata per fare il bene: “non è vivere che è importante ma vivere nel giusto”, scriveva Socrate. Ed Epitteto aggiungeva: “libero non è chi comanda, ma chi obbedisce alle leggi”.
Addirittura le leggi ci permetterebbero allora di esprimere al meglio la nostra libertà? Quanto risulta difficile comprendere questa posizione, abituati come siamo a vivere in un mondo che fa della libertà assoluta la sua legge di vita.

Forse un esempio ci può aiutare a capire meglio. Immaginiamoci seduti davanti alla tastiera di un pianoforte: siamo più liberi se pigiamo i tasti a caso o se suoniamo l’Aria sulla quarta corda di Bach? In quale dei due casi sappiamo utilizzare al meglio il pianoforte traendone qualcosa di veramente bello? Certo, imparare a suonare il pianoforte costa; ci sono ore ed ore di lezione, scale dopo scale, solfeggi, esercizi: bisogna seguire una regola! Non mi fraintendete: è evidente che schiacciare a caso i tasti di un pianoforte non mi rende meno libero; però è vero che si tratta di una libertà rudimentale, grezza, limitata.
Seguire le regole, allora, non sembra limitare la mia libertà. Anzi, come sostiene Epitteto, la realizzerebbe pienamente.
Non è facile, però; è molto più comodo lasciarsi andare. E spesso la conquista della libertà autentica è ostacolata da fattori esterni ed interni a noi: la moda, la pubblicità, la manipolazione dell’informazione ad opera dei media, per esempio. Ma ci sono anche alcuni ostacoli dentro di noi che mi piace riassumere in tre espressioni: “non so fare” (non so studiare, non so giudicare, non mi so esprimere, non so prendere decisioni, non so ascoltare), “non ho” (non ho iniziativa, non ho buon gusto, non ho amici), “non sono” (non sono ordinato, non sono costante, non sono comprensivo, non sono esigente…). Quanti di noi nascondono la propria comodità dietro queste affermazioni che, in definitiva, mostrano tutta la nostra incapacità a impegnarci per essere padroni di noi stessi?
Non è facile, scrivevo. Eppure è molto bello e la prova è data da quanto siamo felici quando riusciamo a superare le nostre limitazioni, attraverso un percorso che si snoda in tre tappe successive: conoscere i propri limiti, accettarli e con essi accettare se stessi, e infine sforzarsi per superarli.
Ricordate le parole del prof. Keating, ne L’attimo fuggente?
“Dovete combattere per trovare la vostra voce. Più tardi cominciate a farlo, più grosso è il rischio di non trovarla affatto!”

Giunti a questo punto è arrivato il momento di farci una domanda che, ne sono sicuro, almeno una volta nella vita ci è passata per la mente: libertà e amore possono andare d’accordo? In altre parole, è possibile amare una persona e rimanere liberi davvero?
Da quello che abbiamo scritto prima sembrerebbe proprio di sì. Ma cerchiamo di capirlo meglio.
E per farlo, partiamo da alcune parole scritte da una ragazza su un forum: “A volte per amore si fanno rinunce per rendere felice l' altro, a volte possono essere di un certo peso a volte possono essere banali, ma sempre privazioni del nostro essere. Quindi mi chiedo: il prezzo da pagare per amare è rinunciare alla nostra libertà di esistere e vivere?”
Ecco, probabilmente la chiave per capire il nesso tra amore e libertà sta in una parola che è il nucleo centrale dell’amore, cioè il sacrificio.
Ci sono tre modi di stare con una persona e questo vale sia per l’amicizia, sia per l’amore tra uomo e donna. Il primo è basato sull’utile, sul bisogno: “sto con te per ottenere qualcosa” (sono tuo amico finché mi passi i compiti, finché mi inviti a casa tua con la piscina, finché mi dai un passaggio con la moto). Ci vuole poco a rendersi conto che in questo caso non possiamo parlare di amore e che tale rapporto è destinato a finire presto.
Il secondo modo di stare con una persona è basato sul piacere, nel senso più ampio del termine: “sto con te perché mi fai essere felice”. Anche in questo caso, si tratta di un rapporto destinato a estinguersi quando l’altro non mi fa più stare bene. Quante volte sentiamo dire: “non stiamo più assieme perché il rapporto con lui non mi dava più niente”?
Non sono forse questi due modi di stare con una persona che nascondono, in fin dei conti, un desiderio egoistico di gratificazione personale? L’altro non è visto come un fine ma diventa un mezzo: un mezzo per farmi stare bene.
Un rapporto di amore, per essere autentico, dovrebbe invece maturare e superare il desiderio innato – e lecito! - in ciascuno di noi di sentirsi amati, voluti bene, stimati; ma l’amore non è solo questo, non può essere solo questo; è molto di più, è darsi, gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio.
Per questo il vero modo di stare con una persona è quello che si basa sul considerarla “un altro me” e che mi spinge a dire “sto con te perché voglio farti felice, perché voglio il tuo bene, anche se dovesse costarmi rinuncia e sacrificio”.
Il linguaggio dell’amore è quello del dono e un dono non si richiede mai indietro.
Non facciamo un regalo perché così l’altro un giorno ne farà uno a me. Lo facciamo e basta.
E allora, un dono fatto in questo modo non è forse la prova più grande della nostra libertà?

Articolo pubblicato sul numero di gennaio 2012 di Dimensioni Nuove

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